Ha senso parlare di psicologia LGBT+?
A ben vedere, l’orientamento sessuale è un tratto dell’individuo come qualsiasi altro. Può profilarsi come elemento di dubbio, di confusione, di sofferenza solo per rapporto al sé (mi accetto/non mi accetto), per rapporto all’altro (mi accetta/non mi accetta), per rapporto alla società (mi accetta/mi ostacola) e per rapporto all’universale tema dell’amore (lo troverò/non lo troverò).
L’essere LGBT+, o presumerlo, è dunque soltanto un aspetto di ciò ci caratterizza come essere umani. Tuttavia, è un aspetto particolare perché profondamente connesso con elementi culturali e sociali.
Parlare di psicologia LGBT+, dunque, significa avere coscienza di ciò che può comportare l’essere, o lo scoprirsi, parte di una minoranza. Non si tratta di separare per discriminare, ma di isolare difficoltà proprie di questo tipo di identità per circoscriverle e superarle.
In questi percorsi è importante sapere che esistono cliché da superare rapidamente. Ad esempio domande come: gay si nasce o si diventa? Si può “guarire”? Sono mancate le figure paterna o materna?
Un percorso psicologico focalizzato sull’omosessualità o su qualsiasi altra delle accezioni LGBT+, è un percorso centrato sull’individuo: aiuta nella ricerca della propria identità sessuale, sostiene nel processo di coming out e affermazione, supporta nell’autostima da coltivare per ottenere il rispetto negli ambienti di vita, coopera per la definizione della persona.
L’obiettivo è che tu possa sentirsi anche e non solo lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer, intersessuale, asessuale o +.